Peter Belyi

“ROMANTIC APOCALYPSE”

Galleria Giampaolo Abbondio – Piazza Giuseppe Garibaldi, 7 – Todi (PG)

8 May – 3 September, 2022
Opening: 7 May, h: 11am – 7pm

ROMANTIC APOCALYPSE – PRESS

La mostra di Peter Belyj ROMANTIC APOCALYPSE narra di ciò che sfugge al controllo dell’individuo. Da una parte, avvertimenti e profezie, irrazionalità, timore e tremore di fronte all’ignoto, scolorite foschie idilliche; dall’altra le immagini nefaste di un’apocalisse nucleare. L’irrealtà di quanto va accadendo, il magnetismo ammaliante del colore, che, come una delle forze  fuoriuscite dal vaso di Pandora, agisce in modo pressoché autonomo e irrevocabile.

 

STATEMENT

Collaboro già da quindici anni con la galleria di Giampaolo Abbondio. Insieme abbiamo realizzato una decina di grandi progetti espositivi e altri ancora, più piccoli. Oggi la situazione politica nel mondo è tale da costringere ogni artista legato in qualche misura alla Russia a provare un senso di vergogna per il proprio governo che ha scatenato una guerra fratricida in Ucraina. Da parte della galleria è necessario un certo coraggio per continuare a lavorare con artisti russi. Alcuni di loro hanno rinunciato a esporre le proprie opere fino al termine della guerra. Io ritengo invece che sia indispensabile parlare di questi avvenimenti in ogni modo possibile, utilizzando il proprio linguaggio, magari non direttamente collegato al succedersi delle notizie, non importa, in ogni caso parlare è assolutamente necessario. A prima vista, le immagini presentate in mostra non sembrano avere un rapporto diretto con le operazioni belliche; piuttosto alludono alla componente apocalittica degli ultimi anni – epidemie, guerra, fame, morte. La minaccia di un attacco nucleare che, a un certo punto, è stata evocata, la retorica imperiale delle autorità russe e il terrore che ha invaso tutta l’umanità a queste parole – ecco i motivi fondamentali delle opere esposte.
Credo che l’arte possa contribuire a migliorare il mondo, a rendere l’essere umano più ragionevole e più umano, e perciò spero che tutto ciò di cui parla la mostra non si verifichi mai.

– Peter Belyj

 

Attacco

Memorie e presentimenti apocalittici, ecco uno dei leitmotiv dell’arte di Peter Belyj. A partire dall’installazione “Zona di pericolo” Belyj ha iniziato a lavorare con le immagini di un passato oscuro, pronte a replicarsi in un futuro indistinto. Ciò era già evidente nel progetto «Silenzio», dove uno scoppio che non faceva rumore prolungava indefinitamente l’istante della catastrofe. Ma allora si trattava di immagini universali, alimentate dall’eco di tragedie plurime che l’orecchio dell’artista coglieva attraverso le stratificazioni del tempo (una pratica che l’autore stesso definiva «creazione di modellini retrospettivi»). Al contrario adesso l’artista si trova nella posizione diametralmente opposta – troppo poco tempo è trascorso infatti dall’inizio di una nuova epoca. La guerra tra Russia e Ucraina, che sembrava del tutto impossibile, prosegue e accelera. L’assenza di distanza temporale, la pressione della propaganda, l’intensificarsi della repressione in Russia, il prender coscienza del proprio coinvolgimento e della propria colpa condannano l’autore a un sovraccarico emotivo, a un esaurimento delle risorse interiori, a un senso di sfiducia verso l’efficacia dell’arte e la sua adeguatezza. Il diritto a esprimersi, che sembrava assolutamente naturale fino a due mesi fa, ora viene messo in dubbio. Il sistema di significati che determinava il ruolo dell’artista è andato distrutto, il mondo della cultura è sbigottito, tutti sono raggelati in pose di disperazione e terrore.

In una simile situazione Peter Belyj passa la parola ai suoi materiali creativi, in primo luogo all’inchiostro offset nero. Tra tutte le tecniche di stampa il monotipo rappresenta un procedimento a sé poiché, producendo un’unica tiratura, contraddice lo stesso principo utilitario della stampa, ossia la serialità. Il legame profondo con le proprietà fisiche dell’inchiostro (per esempio, la sua consistenza, simile a quella del cemento) e un’alta componente di spontaneità rendono il risultato imprevedibile. A esser messo in discussione è il processo stesso della stampa. Da sotto il torchio vediamo uscire ciò che fino a poco tempo fa poteva essere ancora un’astrazione estetizzante e che oggi, invece, viene percepita come un reportage dalla prima linea: le riprese dall’alto effettuate da un drone, i lampi di un attacco aereo, il fumo delle case incendiate, i resti in caduta libera di un aereo abbattuto, i riflessi di esplosioni nucleari sulle nubi – un intero caleidoscopio della violenza. La matericità degli oggetti esposti in mostra agisce allo stesso modo: un mattone spaccato, un’armatura che sporge dal cemento armato, il cemento stesso trasmettono a livello tattile ciò che l’occhio non è in grado di distinguere. Nebbia, vapore, fumo, mucchi informi, un orizzonte storto, l’obiettivo che trema, senza riuscire né a fissare, né a restituire quanto sta avvenendo – la vista si rifiuta di vedere, la mente di comprendere. Le immagini che passano attraverso il prisma dei media perdono forza espressiva e credibilità. Ma quando la forma artistica comincia come per magia a raccontare con i propri mezzi gli orrori della guerra, l’autenticità del reportage non lascia adito a dubbi. È come nell’Apocalisse di Giovanni: «il vero e fedele Testimone».

Una sensazione di allarme, l’approssimarsi della fine del mondo, la fragilità e la caducità dell’esistenza umana, l’inconcepibilità per la nostra mente del baratro che si è spalancato dinanzi a noi, il ritrovarsi davanti a un mondo gelido, incommensurabile e spietato accomuna la nostra contemporaneità all’epoca barocca. In questa mostra forme barocche traspaiono dal cemento armato. I raggi che filtrano dalle nubi (simbolo dell’emanazione della Divinità) si rispecchiano nelle immagini dell’armatura di un edificio messa a nudo da un’esplosione o delle radiazioni successive a un attacco nucleare. La fontana, emblema di inesauribile fecondità e della stessa facoltà riproduttiva, si deforma in un mucchio di rovine su cui gocciola una tubatura spezzata.

Malgrado tutte le crisi e le guerre che l’hanno segnata in abbondanza, l’epoca barocca ha rappresentato anche il momento in cui la società europea ha cominciato a riconoscere l’individualità come valore, ad affermare l’irripetibilità del mondo interiore di ogni soggetto, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla provenienza, dalla posizione sociale e dal censo. Non resta che augurarsi che anche il periodo che stiamo vivendo, al termine del suo sanguinoso, apocalittico giro, si concluda con la rivalutazione di questo concetto fondamentale.

– Alexandr Dashevskij

 

Si ringrazia il Comune di Todi per il Patrocinio.

 

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Ph. Michele Ranieri, Studio MR6